[OT]: Realizzare in casa i propri PCB, cosa serve?

L’idea è questa: tengo il Topic bloccato finché non lo completo (ma ci vuole ancora un poco...) ed inserisco aggiornamenti che vorrete fornire, così avremo una sorta di tutorial completo senza i casini delle infinite discussionifinché non finisco di scrivere tutto, dedico un post ad ogni passaggio della tecnica, così alla fine tutto sarà scritto nei primi post, in forma di un piccolo Tutorial (un altro 8) ) che chiunque potrà consultare facilmente. Questo lavoro è rivolto a chi vuole iniziare a realizzare in casa i propri pcb, ma non ha le idee chiare.
EDIT: Premessa per l’intero Topic: parliamo di lavori da principianti, quindi mi riferirò sempre a circuiti stampati (cs) monofaccia, cioè col lato componenti privo di rame e tutte le piste sul lato opposto; in seguito vedremo.
I post scritti non sono definitivi, li sto correggendo/implementando in continuazione; leggete sempre Data/Ora del Last Edit per capire se ci sono aggiornamenti; se mi metto a lasciare traccia di ogni variazione diventa una cosa da squilibrati. :smiley:

Il primo passaggio per arrivare ad un PCB finito è ottenere il disegno delle piste di rame. Fondamentalmente ci sono tre possibilità:
1 – Il disegno esiste (internet, rivista, l’amico che ce lo manda), in questo caso il primo passaggio è fatto.
2 – Il disegno lo dobbiamo realizzare e ce la caviamo a disegnare uno schema elettrico: programmi come Eagle (quello che uso io all’1x1000), KiCad, FidoCad, FidoCadJ, sono alcuni tra i programmi che permettono di disegnare uno schema elettrico disponendo di molte librerie di componenti e poi trasformarlo abbastanza agevolmente in un pcb. In questo Topic NON spiegheremo come si usano questi programmi; il mio personale consiglio, che ho giocherellato con tutti: scaricare Eagle, la versione free è limitata solo per le dimensioni dello stampato, ma è più che sufficiente per la stragrande maggioranza dei lavori da principianti. Esistono tutorial in Italiano fatti così così, utili per iniziare subito, ma carenti di istruzioni elementari, per cui tocca sbatterci un po’ per arrivare a qualcosa di soddisfacente. Gli anglofoni invece hanno dalla loro un manuale di 300 e passa pagine e un tutorial di 75 pagine, in dotazione al file di installazione.
3 – Il disegno lo dobbiamo realizzare ma abbiamo difficoltà con gli schemi elettrici, però abbiamo prodotto un prototipo su breadboard o su millefori: in questo caso l’unica è il disegno manuale, come si faceva ai miei tempi: la tecnica consiste nel fare un pre-master su carta millimetrata disegnando a matita i vari componenti, a misura reale e poi collegando i piedini, in base al prototipo, badando solo a non farle mai incrociare; ciò significa cercare per tentativi la migliore disposizione possibile, col tempo si impara a trovare subito la migliore possibile. Una volta realizzato il pre-master lo possiamo replicare sul PC, con un CAD o un programma di disegno, naturalmente dobbiamo sempre lavorare in perfetta scala 1:1, cioè nel disegno le distanze tra i tondini (i punti che saranno forati e ospiteranno i pin dei componenti) devono combaciare con quelle reali.

Il materiale necessario per la prima fase:

  1. Un PC
  2. Un programma di disegno
  3. Solo se scegliamo la soluzione 2 (auspicabile, per chi se la sente), uno dei programmi sopra elencati o un altro del genere.

Una volta che abbiamo un file con il disegno delle piste di rame si passa alla fase di preparazione del master; il master è il trasferimento del disegno su un supporto che servirà poi per preparare il circuito stampato.
Qui si possono seguire due possibili strade:
1 – La tecnica del fotoresist
2 – La tecnica del trasferimento termico (nota come tecnica del “ferro da stiro”)
Iniziamo dalla prima, questa è la tecnica più professionale ma anche più costosa, indispensabile se si deve lavorare con piste molto sottili e vicinissime tra loro.
Il fotoresist è una sostanza con la quale si crea uno strato sopra il rame delle piastre, che lo protegge dalla corrosione dell’acido; in teoria (ma anche in pratica) mettendo una piastra di questo tipo nell’acido il rame resta intatto. Il fotoresist ha la caratteristica di essere sensibile alla luce ultravioletta (in mancanza si può ricorrere ad una lampada estremamente potente, ma è meglio l’ultravioletto), nel senso che sottoposto per un certo tempo a questo tipo di luce esso cambia le sue caratteristiche. Se si vuole seguire questa tecnica il nostro disegno va stampato (RIGOROSAMENTE CON UNA LASER) su un foglio di acetato di vinile, che è un lucido trasparente, tipo quelli che si usavano con le lavagne luminose prima dell’avvento dei videoproiettori; naturalmente al momento dell’acquisto bisogna sincerarsi che il materiale sia adatto alla stampa con laser, cioè resistente ad alte temperature; qualche furbo per risparmiare ha tentato di usare quelli per le ink-jet, ora è ancora lì che tenta di scollare il foglio fuso. Per la verità oggi esistono in commercio anche fogli di acetato per ink-jet, che riescono ad assorbire e fissare l’inchiostro, ma mentre il toner è una sostanza solida, l’inchiostro è liquido, quindi il rischio che la luce riesca ad attraversarlo esiste sempre, per cui l’accortezza deve essere quella di stampare alla massima qualità e comunque con una ink-jet seria.
Quale che sia la combinazione scelta in questa fase è sufficiente stampare il nostro disegno sul foglio di acetato e siamo pronti per il trasferimento.

La seconda tecnica invece richiede la stampa su un supporto che non sia repellente al toner delle laser, visto che poi (come spiegheremo più avanti), il toner andrà trasferito sulla pista di rame. Questa tecnica è meno precisa, ma per i nostri primi e semplici lavori è facile ed economica, consiglio (come ho fatto io) di iniziare da questa. Il problema è la scelta del supporto. Vi faccio una panoramica, dal più economico al più costoso:
1 – Il supporto più economico per la stampa del master è la copertina dei giornali settimanali (Oggi, Panorama, Espresso); questo tipo di carta è repellente al toner quindi non lo “assorbe”, basta fare una prova per vedere come poi la polvere del toner si gratta facilmente e si toglie; questa prova è fondamentale: più il foglio resta pulito, dopo aver grattato il toner, è maggiore sarà la quantità di toner che si trasferirà sulla piastra di rame. Non vi dovete preoccupare del contenuto originale della pagina o se dopo la stampa con la laser vedete poco o nulla sulla pagina colorata, questa ci serve solo come supporto temporaneo. Il vantaggio di questa carta è l’economicità, non costa nulla, basta strappare un foglio da un giornale vecchio che avete in casa. Lo svantaggio consiste nel fatto che il trasferimento non è preciso, spesso lascia punti che vanno poi corretti, prima dell’incisione, inoltre la carta del giornale spessissimo resta attaccata (per la temperatura elevata, capiremo dopo cosa significa) alla piastra di rame e bisogna stare lì a perdere tempo a levarla, ammorbidendola nell’acqua; infine la vostra laser deve avere il caricamento del foglio singolo dall’alto, altrimenti vi si inceppa di sicuro, è troppo sottile per muoversi bene quando deve fare percorsi tortuosi.
2 – Per migliorare la qualità del trasferimento si può usare la carta fotografica, quella specie di cartoncino sottile (non deve essere troppo spesso il supporto) che su un lato è lucidissimo e morbido al tatto; ATTENZIONE, la carta questa volta deve essere per INK-JET, ma noi stamperemo SEMPRE con la laser. Il trasferimento con questo tipo di carta è molto più preciso, ma questa carta va comprata e inoltre, come l’altra, tende ad incollarsi sulla piastra a causa della temperatura elevata, provocando il fastidio di doverla rimuovere.
3 – Il supporto migliore in assoluto, che però permette di raggiungere risultati di qualità decisamente superiore ai due precedenti è il cosiddetto PnP o Press’n Peel Blue, un foglio di acetato che e ricoperto su uno dei due lati, da una sostanza ruvida al tatto e di colore blu. Il trasferimento sfiora la perfezione, il lato negativo è il prezzo (una confezione da 5 fogli A4 l’ho presa da Futura Elettronica a ben 12 euro, ma cinque fogli A4 sono tanti per i nostri primi lavori); se scegliete questa tecnica la spesa vale il sacrificio; il mio primo nanetto è venuto perfetto, in tutto ho impiegato 10-12 minuti. Una volta raggiunta la necessaria dimestichezza si potrà tentare di passare alla carta fotografica, certamente mi sento di sconsigliare quella delle copertine dei giornali anche se qualcuno riesce ad avere risultati decenti con circuiti a scarsa densità e piste spesse.
4 – [Brainbooster]: Ultimamente sono sul mercato dei nuovi fogli per PnP a base di una sostanza naturale chiamata destrina, che ha la caratteristica di dissolversi in acqua. Si tratta di comunissimi fogli di carta bianchi con uno dei due lati ricoperto da una patina di destrina (dal colore azzurrino, per non sbagliare lato) e si usano come i fogli blu, ma alla fine della stiratura basta immergere il tutto in acqua per fare staccare il foglio da solo, lasciando solo il toner sul PCB.
Brainbooster ha scritto un bel tutorial su gioblu, da cui ho tratto, su sua indicazione, la parte riportata. Noi ora però seguiamo l’organizzazione logica di questo Topic, le parti relative al trasferimento e all’incisione le vedremo più avanti.
5 – [GianfrancoPA]: come carta si può utilizzare anche quella patinata che vendono in cartoleria, meglio se del tipo con spessore di 160gr/mq. Il distacco del foglio avviene in maniera molto pulita con ottimi risultati.

Scelto il materiale possiamo passare alla stampa; NOTA IMPORTANTE: DOBBIAMO FARE ESTREMA ATTENZIONE ALL’ORIENTAMENTO DELLA STAMPA, IN CASO DI ERRORE AVREMO IRRIMEDIABILMENTE ROVINATO IL NOSTRO SUPPORTO!
Per capire il problema: le piazzole che ospiteranno un circuito integrato (p.es. un ATmega 328) saranno disposte su due file parallele di 20 piazzole cadauna, ma quale delle 4 piazzole di spigolo corrisponde al pin 1 del chip (quello cioè che sta a sinistra della tacca posta sul suo involucro)? Se non siamo in condizioni di rispondere correttamente ci affidiamo alla sorte, ed io temo moltissimo la Legge di Murphy! Quindi un’immagine lato componenti ci mostra le nostre piste come se le guardassimo in trasparenza attraverso il circuito, dal lato che ospita i componenti; un’immagine lato rame mostra invece le piste esattamente come saranno una volta che il PCB è pronto, cioè viste proprio dal lato dove c’è il rame. Ma allora quale dovrà essere la posizione corretta nelle due tecniche? In questo caso sul supporto cartaceo dovremo vedere le piste lato componenti, in quanto il successivo trasferimento invertirà la visuale e quindi sul rame avremo la visione lato rame.
Vi insegno un semplice trucco: io sul disegno del PCB, lato rame, ho l’abitudine di mettere una scritta qualsiasi in un punto in cui non ci sono piste (p.es. l’anno di produzione del circuito: 2011); inoltre accanto al pin 1 di ogni integrato previsto, scrivo “1”, ancora metto “+” o “-“ accanto alle piste di alimentazione. Questo sistema ci dà anche il vantaggio di identificare facilmente, al momento del montaggio dei componenti elettronici, il piedino 1 di ogni integrato, evitando altri danni!
Se usiamo questo semplice accorgimento ci basterà controllare che sul supporto cartaceo le scritte si vedano rovesciate, si “raddrizzeranno” nel momento in cui il toner sarà trasferito sulla piastra ramata.
In caso di errore, la piastra si recupera perché basta ripulirla, ma il supporto è perso, se si tratta di copertina di giornale no costa nulla, ma un foglio di carta fotografica o, peggio, un Pnp, è un bel danno! Personalmente, pur avendo ormai sperimentato bene questa tecnica ogni volta che devo preparare il foglio per il trasferimento faccio prima una stampa di prova su un normale foglio di carta, se vedo le scritte rovesciate vado tranquillo!
Il master è pronto, possiamo passare alla fase del trasferimento termico.

Il materiale necessario per la seconda fase:
Tecnica fotoresist:

  1. stampante laser qualsiasi o ink-jet di alta qualità
  2. supporto per la stampa: foglio di acetato trasparente per stampante laser (o per ink-jet)

Tecnica a trasferimento termico:

  1. stampante laser qualsiasi (carta fotografica o PnP Blue)
  2. oppure stampante laser con caricamento carta dall’alto (carta settimanali)
  3. supporto per la stampa: copertina di un settimanale, carta fotografica per ink-jet, PnP Blue o Pnp a base di destrina

In questa nuova fase impareremo a preparare la piastra ramata. Naturalmente, anche in questo caso, dovremo far riferimento alle due diverse tecniche visto che cambiano i materiali e l’attrezzatura necessaria. Anche questa volta iniziamo dalla tecnica del fotoresist.
Per prima cosa ci dobbiamo dotare della piastra di rame. In commercio si trovano due tipi di piastre ramate: quelle “normali” e quelle “presensibilizzate”; le prime sono molto economiche, le seconde costa parecchio di più, a motivo del trattamento della superficie ramata col fotoresist; esiste una terza possibilità, che però sinceramente sconsiglio: in commercio il fotoresist si trova anche sotto forma di bombolette spray, con questa si può spruzzare uno strato uniforme su una piastra perfettamente pulita e trasformarla in una presensibilizzata; questa operazione però non è affatto semplice, fintanto che si raggiungono risultati apprezzabili passa tempo ed intanto se ne perde e si perde anche denaro, comunque potete provare.
Le piastre presensibilizzate sono, come detto, sensibili alla luce forte o all’ultravioletto, ecco perché non sono vendute sfuse come le normali ma in confezioni di cartoncino rigido rivestito all’interno da una pellicola nera, per quelle di piccole dimensioni vendute in quantità di 5 pezzi, di solito; oppure si trovano sfuse ma la parte ramata/presensibilizzata e ricoperta da una pellicola nera o blu notte che serve a proteggerla. Tale pellicola dovrà essere tolta solo qualche istante prima di iniziare il trattamento, inoltre il locale dovrà essere illuminato con luce bassa e soffusa, certamente eventuali lampade alogene devono essere spente.
Se si decide di usare lo spray le piastre devono essere pulite alla perfezione, quindi leggete prima la parte in cui spiego questa importante operazione.
Una volta levata la pellicola alla piastra siamo pronti per il trasferimento dell’immagine delle piste; ho già spiegato la questione “lato componenti” e “lato rame”; in questo caso la stampa è avvenuta su un supporto trasparente quindi non abbiamo dovuto fare alcuna attenzione, come invece è avvenuto per l’altra tecnica. Il problema però sorge ora: infatti la tecnica fotoresist è di tipo positivo, cioè la luce UV attraversa le parti vuote dell’acetato e quindi sulla piastra resta un’impronta uguale a quella che stiamo guardando; quindi sulla piastra le piste saranno incise esattamente come vediamo l’immagine; ecco perché dovremo FARE ASSOLUTA ATTENZIONE A CHE LA PELLICOLA CHE STIAMO GUARDANDO DOPO AVERLA MESSA A CONTATTO CON LA PIASTRA CI MOSTRI LE PISTE LATO RAME; in parole povere le famose scritte aggiunte al master si dovranno leggere correttamente quando l’acetato sarà messo in contatto con la piastra ramata. Se non si presta attenzione a ciò, poiché non ci vuole nulla a poggiare la pellicola dal lato sbagliato, si fanno danni, una piastra presensibilizzata, una volta trasferita l’immagine non è più riutilizzabile!
A questo punto siamo pronti per il trasferimento fotografico dell’immagine sulla piastra: con il foglio di acetato, opportunamente ritagliato a dimensione della piastra di rame, e ad essa poggiato con precisione, mettiamo tutto all’interno di un apparecchio quasi indispensabile per questa operazione: il Bromografo; dico quasi perché, come accennato, in realtà potrei fare la stessa operazione con una lampada a luce molto forte, in grado di colpire uniformemente con la sua luce l’intera piastra. Insisto sulla necessità di usare il bromografo, inutile farsi lo scrupolo del risparmio quando si decide di usare questa tecnica.
Il Bromografo è simile ad uno scanner, con la differenza che non ha una luce “scorrevole” ma una serie di 3-4 tubi (sembrano neon) di luce ultravioletta che ci accendono tutti assieme e inondano la lastra di vetro di luce uniforme. Molti si autocostruiscono il Bromografo sfruttando appunto una vecchio scanner, eliminando la lampada scorrevole e fissando sul fondo questi tubi in parallelo tra loro; su Internet ci sono molti tutorial in merito.
Qualunque sia il modello che usate la tecnica è semplice: piastra e acetato vanno appoggiati sulla lastra di vetro in modo che l’acetato si venga a trovare tra i tubi di ultravioletto e la parte ramata/presensibilizzata della piastra; si chiude il coperchio e si accende il Bromografo: i raggi ultravioletti saranno bloccati dalla stampa delle piste presenti sull’acetato e invece colpiranno la superficie della piastra nei punti in cui l’acetato è trasparente. L’esposizione varia in un tempo che normalmente va da 3 a 6 minuti circa, in dipendenza da diversi fattori: intensità delle piste, qualità della piastra (p.es. se è molto vecchia rende di meno), quantità e potenza dei tubi ultravioletti; sono informazioni che comunque si reperiscono se vi autocostruite l’apparecchio; se invece lo comprate le trovate nella confezione.
L’ultimo passaggio è lo sviluppo della piastra; una volta spento il Bromografo e levata la piastra, vedremo con un lievissimo contrasto i disegni delle piste impressionati sulla piastra; a questo punto essa va immersa in una bacinella contenente una soluzione a base di acqua e idrossido di sodio, si vende anche nei negozi di elettronica sotto forma di bottiglie o bidoncini, spesso definito “sviluppo per fotoresist”. La piastra andrà levata dalla bacinella quando il disegno delle piste avrà raggiunto un buon contrasto e risulterà ben visibile. Siamo pronti per la fase finale.

[Brainbooster] NOTA IMPORTANTE PER LA SALUTE!!! L’idrossido di sodio, come potrete subito capire dal simbolo riportato sulla confezione, è estremamente pericoloso! Forse a molti dirà qualcosa in più se diciamo che è noto anche come SODA CAUSTICA; certo, è diluito in acqua, ma è sempre molto pericoloso, quindi va maneggiato con i guanti.
[Brainbooster] Anche i tubi uv dei bromografi rientrano nelle cose a cui stare attenti. Le lampade ad ultravioletti usate nei bromografi non sono lampade abbronzanti, non hanno filtri ed emettono un sacco di UVB che sono dannosi per gli occhi e per la pelle se l'esposizione non viene limitata al minimo indispensabile. Quindi è preferibile, come detto, accendere il Bromografo dopo aver chiuso il coperchio e spegnerlo prima di riaprirlo, e i raggi UVB non saranno un problema.

A questo punto preferisco aprire una NOTA GENERALE: quando si preparano i PCB bisogna essere bardati come si deve, tanto tutta l’operazione finale dura poco. Conviene indossare una tuta tipo meccanico o un camice lungo in cotone, guanti in lattice, occhiali protettivi (quelli con le lenti in plastica, sovrapponibili ad eventuali occhiali da vista) e mascherina. Le sostanze pericolose che maneggiamo sono: l’idrossido di sodio, il percloruro ferrico, che chimicamente è un sale, non un acido, ma viene definito così per la sua capacità di aggredire il metallo, non fa bene neanche ai tessuti, men che meno agli occhi e organi interni dell’uomo, quindi nulla da invidiare all’idrossido di sodio. Di entrambe queste sostanze fanno danno anche i vapori, occorre quindi lavorare sempre in locali molto aerati.

Infine non dobbiamo trascurare la fase di taglio e foratura: se usiamo attrezzi ad alta velocità, come il Dreamel, dobbiamo mettere in conto che vengono generate polveri sottilissime che si spandono subito nell’aria e che respiriamo ed ingeriamo. Se si tratta di bachelite il danno è inferiore, ma la vetronite genera polveri di silicio.
Tutto ciò non per terrorizzarvi, non è il caso, ma certamente per non prendere sotto gamba queste pratiche. Altro sanissimo consiglio, facciamo in modo che i bambini non possano mai entrare nel locale durante queste fasi, visto che sono terribilmente imprevedibili, inoltre preoccupiamoci di conservare tutte queste sostanze in un luogo sicuro al 1000%.

Ora vediamo invece come arrivare al PCB pronto per l’incisione seguendo la tecnica più economica. Prima spendiamo qualche parola sulle piastre normali (sapendo che la sola differenza con quelle presensibilizzate sta nel trattamento della superficie):
Una piastra ramata è costituita da un supporto rigido, il cui materiale è la bachelite (meno diffusa e più economica, di colore giallo palnino o marrone) o la vetronite (praticamente fibra di vetro, di colore verde semitrasparente, la più diffusa); su tale supporto viene fissato uno strato di rame se la piastra (o basetta) è “monofaccia”, oppure uno strato per ogni lato se la piastra è a “doppia faccia”; queste ultime servono per realizzare circuiti complessi con piste presenti su entrambi i lati; si possono realizzare con le tecniche che stiamo vedendo, ma con una certa difficoltà, che però non è oggetto di questo tutorial. Quindi inutile comprare piastre a doppia faccia se il lavoro da fare è monofaccia; per capirci, se vado a comprare una piastra e trovo ipoteticamente, per la stessa misura, lo stesso prezzo sia per la monofaccia che per la doppia faccia mi regolo così: se penso di poter eventualmente sfruttare la doppia faccia la compro, altrimenti, se ho certezza di tornare a casa e fare un circuito monofaccia, compro quest’ultimo tipo; il motivo è semplice: i materiali che andremo ad usare per l’incisione reagiscono col rame, più ne devono eliminare e prima si consumano, quindi è inutile far lavorare l’acido per togliere qualcosa che potrei non mettere dall’inizio.
Uno dei passaggi fondamentali, spesso trascurato dai principianti (ma poi i risultati si vedono…) è la pulitura del rame della piastra: quando il rame è sporco qualsiasi operazione finisce male o perlomeno con molti difetti, che non sto ad elencare, inutile; dedichiamo piuttosto qualche riga ad imparare cosa significa preparare sul serio una piastra ramata ad essere utilizzata. Anche se la piastra è apparentemente pulita ha quasi certamente delle impurità, inoltre tenete presente che perfino le ditate disturbano le successive operazioni, ecco perché dovete abituarvi da subito a tenere le piastra come fate con i cd/dvd, cioè tra pollice e medio/anulare, toccando solo i bordi , oppure poggiata sul palmo della mano dal lato opposto a quello del rame, quindi a contatto con la vetronite o bachelite.
Cerco di essere schematico, spiegandovi la tecnica che uso io:

  1. Con uno di quegli straccetti ruvidi in nylon (da cucina) di color verde, imbevuto di una miscela di sapone liquido per piatti e alcool sfrego la superficie ramata per almeno un minuto, in ogni suo punto, poi sciacquo con acqua corrente abbondante.
  2. Con una di quelle spugnette abrasive nere (sempre da cucina), ripasso in maniera ordinata e metodica tutta la superficie, per togliere le impurità da rame.
  3. Ora prendo uno straccio di cotone e gli metto su una giusta dose di “sidol” (o una qualsiasi altra sostanza di quelle che servono per lucidare metalli come rame, argento, oro, ecc); con tutta la piastra apparentemente pulita e lucida vedrete quanta roba verde che andrà via; a lavoro soddisfacente lavo in acqua corrente abbondante, meglio se uso anche una spugnetta morbida imbevuta di sapone liquido sgrassante e alcool; quindi asciugo con un panno a microfibre (non lascia filucchi e tracce di cotone). Ora sì che la piastra è perfetta e pronta ad essere lavorata, ma non tocchiamola con le dita!
    A questo punto siamo pronti per il trasferimento. E qui comprendiamo perché questa tecnica è comunemente chiamata del “ferro da stiro”, avremo infatti bisogno di questo elettrodomestico; in premessa vi posso garantire che se userete i materiali corretti potete tranquillizzare mogli e madri circa il fatto che non subirà alcun danno.
    Accendiamo quindi il ferro da stiro e, se abbiamo la possibilità di regolarne la temperatura, impostiamo 170-200°C (in alcuni modelli c’è il tipo di materiale da stirare, in questo caso scegliamo il nylon).
    Un altro strumento che sostituisce degnamente e con migliori risultati il ferro da stiro è la cosiddetta Laminatrice, quell’apparecchio che in genere si usa per la plastificazione dei documenti; bisogna cercarne un modello i cui rulli permettano il passaggio del PCB e che garantisca una temperatura di 160-200°C. L’unico punto negativo è che va acquistata appositamente, mentre il ferro da stiro certamente l’abbiamo già in casa.
    Prima del trasferimento il supporto cartaceo va tagliato, possibilmente lasciando un margine di 2cm su ognuno dei quattro lati; una volta poggiato il lato toner del foglio sul rame pulito la prima operazione è quella di poggiare delicatamente (per evitare spostamenti del foglio) il ferro da stiro su di esso, poi facciamo un po’ di pressione, in questo modo otteniamo di far aderire il supporto alla piastra; se la piastra è interamente coperta dal ferro da stiro e questi è del tipo a temperatura programmabile possiamo lasciarla sotto ad esso per un tempo di circa 2 minuti, quindi facciamo una decina di lenti passaggi rotativi (tipo stiratura di camicia, per intenderci) e dovremmo essere pronti. Se la piastra è più grande invece dobbiamo rassegnarci a stirare in movimento per 3-4 minuti; bisogna infatti ottenere di scaldare uniformemente il rame e contestualmente trasferire tutto il toner; col tempo di riesce a capire se e quando siamo riusciti a trasferire il toner sul rame, ma dobbiamo comunque mettere in conto dei possibili difetti di trasferimento, ecco perché dedicheremo la quarta fase proprio a imparare a correggere i difetti prima dell’incisione finale.
    Quando siamo ragionevolmente convinti di aver completato il trasferimento (ad un certo punto potete sollevare delicatamente un lembo del supporto fino ad arrivare alla parte stampata per capire a che punto siamo) possiamo spegnere il ferro da stiro, lasciar raffreddare supporto e piastra e poi mettere tutto in una bacinella d’acqua tiepida; dopo circa un minuto avremo comportamenti diversi in base al supporto usato: il Pnp a base di destrina si stacca da solo, il Pnp Blue lo dovremo staccare noi ma verrà via facilmente, la carta fotografica e, peggio, la copertina da settimanale invece probabilmente resteranno ben incollate alla piastra, è normale, dovremo solo perdere un po’ di tempo a sfregarle sotto l’acqua fino a che non va via tutta la parte che non era stampata; se invece resta attaccata al toner trasferito non fa nulla, è preferibile lasciarla che non rischiare di danneggiare il toner. A tal proposito vi invito a non usare per nessuna ragione oggetti plastici o metallici per rimuovere i residui di carta, se graffiamo il toner dovremo poi rimediare con la correzione, ma c’è il rischio di fare molto danno, al punto che non valga la pena metterci mano. In questo caso o nel caso in cui il trasferimento sia stato pessimo l’unica è mettersi in pace con l’idea di aver perso il supporto e rifare tutta l’operazione di pulitura della piastra, quindi ricominciare daccapo.
    [GianfrancoPA]: uno strumento economico e valido per rimuovere la carta in eccesso è il comune spazzolino da denti, ottimo soprattutto per ripulire gli spazi tra le piste molto vicine tra loro; c’è comunque da dire che anche con questo metodo non sempre si riesce a rimuovere tutta la carta in eccesso.

Il materiale necessario per la terza fase:
Tecnica fotoresist:

  1. Bromografo o faro di grandi dimensioni a luce forte
  2. Piastra ramata presensibilizzata oppure piastra ramata normale con spray fotoresist
  3. Sviluppo per piastre presensibilizzate (idrossido di sodio)

Tecnica a trasferimento termico:

  1. Ferro da stiro o Laminatrice
  2. Piastra di rame normale accuratamente pulita

Ormai siamo quasi pronti, ma la fretta non produce mai nulla di buono, ecco perché ora dobbiamo effettuare un’ultima operazione,importante, prima di procedere con l’incisione. Dobbiamo cioè controllare ogni pista ed ogni piazzola lato rame per capire se ci sono stati problemi durante il trasferimento; quali sono questi problemi?

  1. Piste interrotte: un trasferimento non completo del toner (trasferimento termico) o un semplice graffio sull’acetato (fotoresist) possono provocare un’interruzione della continuità di una o più piste e dopo saranno guai.
  2. Piste “incollate”: può succedere che se il disegno originale abbia piste troppo vicine tra loro, una sbavatura del toner (trasferimento termico) o una cattiva esposizione alla luce (fotoresist) possano unirle tra loro e anche qui sarebbero problemi seri.
  3. Piazzole troppo piccole: le piazzole sono quei punti circolari o rettangolari smussate che sono destinate ad essere forate, perché è in quei punti che saranno inseriti e saldati i componenti; quando si lavora a video, con zoom elevati tutto sembra enorme, ma una volta preparato il circuito a volte “diventano” molto piccole; il problema è che la successiva foratura potrebbe romperle o addirittura farle sparire. Anche le piste, quando sono troppo sottili, posso diventarlo ancora di più, restando esposte al rischio di sparire durante la fase dell’incisione.
  4. Danneggiamenti vari: piste continue ma con pezzetti mancanti, che le fanno diventare sottilissime in alcuni punti, oppure punti del circuito non trasferiti affatto (è una situazione tipica del trasferimento termico)
    Ma come si risolvono questi problemi, mica dobbiamo rifare tutto? No, gli strumenti correttivi sono fondamentalmente tre: un taglierino, un pennarello a inchiostro permanente e resistente all’acqua e i trasferibili. Il taglierino lo useremo per separare, con moltissima cautela piste o piazzole che si presentano unite e non devono esserlo; i pennarelli sono economici e immediati ma per alcune situazioni (ricostruzione piste sottili o intere piazzole) non vanno bene e comunque la correzione tende ad essere grezza, a meno che non siate bravi ad usare quelli a punta extrafine, da 0.5mm, usato, per intenderci, negli studi tecnici per scrivere sui lucidi.
    I trasferibili invece sono eccellenti, ma costano proporzionalmente qualcosa in più: esistono di tutte le forme e dimensioni ed hanno il vantaggio di effettuare correzioni e ricostruzioni perfette in brevissimo tempo; un solo consiglio: non lesinate e comprate anche il pennino di plastica per trasferibili, usare una penna o matita rovina il supporto dei trasferibili e a volte lo rende inutilizzabile.
    Se usiamo il pennarello facciamo asciugare per bene l’inchiostro (10 minuti sono più che sufficienti ma anche indispensabili); se usiamo i trasferibili dopo poggiamo il loro stesso foglietto protettivo sulle parti ricostruite e “massaggiamo” col dito in modo da farli attaccare bene al rame ed evitare pericolose bolle d’aria.
    Dopo la nostra “cura” ricontrolliamo il circuito, un buon metodo con le piastre con supporto in vetronite è quello di mettere una lampada sul lato componenti e guardare le piste dal lato rame, tutte le imprecisioni salteranno subito all’occhio.
    Anche se la tecnica fotoresist non deposita toner sulla piastra ramata, nessuno ci impedisce di usare penna e/o trasferibili per risolvere problemi che risaltano dopo lo sviluppo, ormai dobbiamo solo proteggere

Ora siamo davvero pronti per la prossima fase, nota come “incisione”, che ci permetterà di eliminare tutto il rame in eccesso, quello cioè non protetto dalla nostra tecnica, lasciando solo quanto previsto dal nostro disegno iniziale.

Una nota folkloristica per i più giovani: prima di scrivere questa quarta fase mi sono dovuto documentare per capire se i trasferibili per l’elettronica si vendessero ancora, pensando che l’avvento dei software citati all’inizio li avesse fatti andare in disuso, invece per fortuna non è accaduto. È solo che negli anni 70 fino ai primi anni 80, una laser era un oggetto raro oltre che costosissimo, quindi un laboratorio che volesse produrre circuiti stampati da sperimentazione o in piccole serie disponeva sì di software, come il preistorico Orcad per MS-DOS, nei quali l’autoroute (la disposizione automatica delle piste non esisteva se non altro perché non si partiva da uno schema elettrico (almeno nelle versioni che ho usato io), quindi tutto si riduceva ad uno programma di disegno con librerie specifiche di piste e piazzole che andavano assemblate posizionandole correttamente sull’area di lavoro. Finita questa fase, molto più comoda ovviamente dell’unica alternativa possibile, la matita e la carta millimetrata, il disegno si stampava con una stampante ad aghi, con un risultato indecente, ma sufficiente per metterci un lucido di sopra, fissare entrambi sul pad posizionato sul tavolo da disegno con qualche puntina e ricopiare tutto in trasparenza.
Gli strumenti erano di due tipi: i trasferibili e i nastri adesivi; i primi si usavano per le piazzole, i secondi erano (questi davvero non so se esistono ancora …) dei rotoli di nastro di spessore massimo di 5mm, posti all’interno di un contenitore plastico trasparente, a costituire un dispenser, sul tipo di certi bianchetti correttori a nastro che si vedono oggi in giro. In pratica prima di mettevano le piazzole e poi si collegavano creando le piste con questi nastri o sempre con i trasferibili, quando erano molto sottili. Alla fine questo lucido (che era opaco, non trasparente, il classico lucido da studio tecnico) era tutto raggrinzito dall’effetto della colla dei nastri adesivi, prima che si deformasse completamente veniva portato in camera oscura e fotografato, cioè trasferito su una pellicola fotografica: il master! Le fasi successive erano molto simili a quelle di cui abbiamo parlato, ma il vero lavoraccio era arrivare al master.

Il materiale necessario per la quarta fase:
(entrambe le tecniche)

  1. Taglierino piccolo
  2. Trasferibili per elettronica con pennino di plastica e (opzionali) piste adesive a nastro
  3. Pennarello a punta fine o extra-fine con inchiostro permanente

Con questa fase elimineremo il rame in eccesso dalla nostra piastra.I motivi di un eventuale insuccesso, a causa del danneggiamento del rame delle piste, durante la fase di incisione, sono svariati:

  1. La protezione delle piste di rame non è buona a causa di un’errata preparazione del master o della scadenze qualità del materiale di protezione, quindi l’acido o sale riesce a penetrare tra le sue trame e corrode il rame;
  2. La concentrazione dell’acido o sale che usiamo per l’incisione è troppo alta, rendendolo estremamente potente, ciò fa sì che esso riesca a danneggiare la protezione, avendo poi gioco facile sul rame;
  3. Il tempo di incisione eccessivo: se “dimentichiamo” la piastra nel liquido di incisione alla lunga l’effetto è quello dell’elevata concentrazione, ecco che diventa fondamentale controllare costantemente lo stato del rame in eccesso.
    A questi motivi bisogna aggiungere le situazioni in cui l’operazione di incisione non riesce a corrodere il rame in eccesso:
  4. La piastra non è stata pulita prima della preparazione del master, le macchie presenti su di esso possono diventare resistenti al liquido di incisione;
  5. Il liquido di incisione, a cause delle troppe volte che è stato usato, ha ormai perso efficacia;
  6. Il liquido di incisione è troppo poco concentrato e non ha il necessario potere corrosivo;
  7. Ci sono poi gli errori dell’inesperienza: pensare il lasciare una piastra a “bagnomaria” in una bacinella con il liquido di incisione, magari tenendo il lato rame verso l’alto per poter seguire il procedimento, sarà certamente una delusione per le nostre aspettative; il perché lo capiremo più avanti, quando spiegherò la tecnica.
    Prima di tutto dobbiamo avere chiaro un principio: i migliori risultati si ottengono con il liquido di incisione riscaldato a temperatura di 40-50°C e continuamente in movimento, e la piastra di rame deve stare sospesa nella soluzione, posizionata in verticale o con la parte ramata verso il fondo ma non a contatto con esso; la spiegazione di questi particolari è semplice: il liquido di incisione a caldo reagisce meglio e più rapidamente, la piastra in una di quelle due posizioni tende a perdere più facilmente il rame man mano che esso si stacca ad opera del liquido. Con questo punto di partenza diventa semplice spiegare vantaggi e svantaggi di ognuno dei materiali che andremo a descrivere, iniziando dal contenitore per il liquido di incisione:
  8. Bacinella di plastica: le dimensioni sono quelle tipiche, una da 30-35 cm di diametro va bene per la maggior parte dei casi ed è estremamente economica da acquistare. Quali sono gli svantaggi? Diventa difficile poter riscaldare la soluzione senza avere qualcosa che impacci le manovre, oppure si è costretti a riscaldare prima il liquido, che però nella bacinella si raffredderà abbastanza rapidamente. Per fare stare il liquido in movimento diventa difficile usare una pompa per liquidi senza sporcare tutto e mettere a repentaglio la propria incolumità (non scherzo!) o quantomeno quella dei propri indumenti; per questo motivi si è costretti ad agitare il liquido con una bacchetta di plastica oppure a muovere la bacinella in continuazione, facendo attenzione a non travasare il liquido. Come detto la piastra deve avere un suo posizionamento, in questo caso può essere solo quello con la parte ramata rivolta verso il fondo; dobbiamo prevedere quindi una base di appoggio, costituita da quattro cubetti di un materiale pesante (non devono galleggiare) e non metallico, l’ideale sarebbero quattro cubetti di ferro plastificati; su di essi, che dovranno essere completamente sommersi dal liquido si poggeranno i quattro spigoli della piastra.
  9. Vasca di incisione verticale: questo è uno strumento specifico, quindi i risultati sono ovviamente eccellenti, ma il costo sale parecchio, rispetto alla bacinella. Posto che ne esistono di ogni tipo, fino a quelle industriali, quella che uso personalmente, con risultati ottimi, è venduta allo stesso prezzo da due diversi distributori. Ne parlo perché è la più economica in assoluto, pur avendo prestazioni di tutto rispetto, e perché i due distributori sono arcinoti su questo Forum, quindi nessuna pubblicità occulta: si tratta di RS e Futura Elettronica. Il prezzo è identico, 99 euro iva inclusa + trasporto, ma è già dotata di elemento riscaldante e pompa d’aria, più due ottimi supporti per la base. Mi limito a due soli prodotti, i più usati in assoluto, comunque non meno pericolosi degli altri:
  10. Percloruro ferrico: è il più usato, si vende già in soluzione al 50-60% (circa 5-600 grammi disciolti in un litro di acqua, per un totale di circa 1200cc), oppure in granuli da disciogliere; in questo caso la concentrazione la stabilite voi. Personalmente ho messo 500 grammi in 1 litro di acqua. Il risultato è un liquido marrone intenso che se cade su qualcosa la tinge immediatamente di giallo; dopo il primo esperimento ho fatto ricorso a gel di ammoniaca (prodotti per le ceramiche sanitarie) e alcool per pulire il più possibile, con buoni risultati, ma è meglio prevenire usando un bel telo di plastica per coprire un‘area di circa 1mq attorno al contenitore. Il costo: 1Kg in granuli, che ci permette di preparare circa 2,5lt di soluzione, costa circa 10-14 euro, ma con tutta quella roba inciderete moltissime volte, prima che inizi a lavorare male. Consiglio di preparare i primi 500cc e poi aggiungerne un cucchiaio ogni volta inizia a diventare debole, per ravvivarla.
  11. Soluzione di acido muriatico e acqua ossigenata, prodotti presenti in qualsiasi casa e abbastanza economici ma, in questo caso, ugualmente efficaci. [Pelletta]La soluzione va preparata di volta in volta, non è possibile farne un litro e conservare la parte in eccedenza perché quando si mescolano i due liquidi si generano dei gas peraltro nocivi, quindi alla fine il contenitore potrebbe anche esplodere.
    Questo tipo di soluzione va usata a temperatura ambiente, non necessita di bulbo riscaldante! Quando si crea la soluzione avviene una reazione esotermica quindi la temperatura sale parecchio se si esagera con la concentrazione dei due liquidi.
    Il materiale da usare può essere: acqua ossigenata a 40 volumi (in farmacia) e acido cloridrico (muriatico) al 70% (in ferramenta); bisogna usarne quanto basta per coprire appena la scheda. Un trucco: se si comincia a sentire che il calore sotto la vaschetta comincia a diminuire, aggiungere un po’ di acqua ossigenata. In 3 o 4 minuti al massimo e con pochi cl di soluzione il risultato è garantito;
    Una regola fondamentale dei laboratori di chimica: “mai dare da bere all'acido!” cioè prima si versa l'acqua ossigenata e poi l'acido, altrimenti schizza di brutto. Le gocce che si aggiungono successivamente non creano problemi in quanto la soluzione ormai è diventata meno aggressiva.
    Una cosa è certa, qualunque sia la scelta: L’AMBIENTE DEVE ESSERE BEN AERATO, possibilmente lavorare stando vicino ad un balcone o una finestra, meglio ancora vicino alla serranda aperta del garage (niente moto/automezzi vicino!), usare occhiali da lavoro (quelli sovrapponibili anche agli occhiali da vista, con grandi lenti plastiche trasparenti), una mascherina da lavoro (quelle di carta con l’elastico, ottime come filtro per la respirazione) e guanti in lattice, con i quali manipolare la piastra senza rovinarsi le mani; evitiamo ASSOLUTAMENTE di tenere il volto sopra la bacinella o vasca, c’è il rischio di schizzi o esalazioni nocive!
    Chiudiamo con la tecnica, che ormai dovrebbe essere chiara:
  12. Se usiamo la bacinella: SOLO nel caso del percloruro: riscaldare il liquido prima o mettere dentro un piccolo bulbo riscaldante da acquario. Creare la base per i quattro spigoli della piastra, inserire la piastra (deve restare completamente sommersa dal liquido), iniziare ad agitale il liquido con una stecca di plastica o facendo leggermente ondeggiare la bacinella; ogni 3-4 minuti sollevare la piastra e controllare la condizione del rame in eccesso; naturalmente quando siamo vicini alla fine, il controllo va fatto più frequentemente.
  13. Se usiamo la vasca: l’operazione è più semplice e veloce; in dotazione ci sono delle mollette di plastica con dei fili rigidi metallici che servono per sospendere nel liquido la piastra agganciando i fili al bordo superiore della vasca, la piastra quindi sta in verticale. PRIMA di inserire la piastra sospesa bisogna accendere il riscaldatore e la pompa, per 2-3 minuti, in modo da rimescolare bene il liquido e riscaldarlo uniformemente, poi spegniamo per il tempo necessario ad inserire la piastra, infine riaccendiamo tutto. Per darvi un’idea una piastra da 10x4cm dopo 4 minuti di incisione era perfetta. Poiché non si vede assolutamente nulla, anche se la vasca è trasparente, in questo caso dovete sollevare la piastra ogni paio di minuti tenendola dai fili (ma comunque sempre usando guanti, occhiali e mascherina). NB: nel caso della soluzione a base di acido muriatico l’elemento riscaldante NON serve.
    [Dab77]:in allegato un mini foglio di calcolo con la formula presa da questo sito: Creating PCBs with the toner transfer method per il calcolo della soluzione di H2O2, HCl e H2O per l'incisione delle basette. Inoltre ho aggiunto la formula per convertire i Volumi di H2O2, in percentuale. Sono gradite correzioni e/o migliorie

Calc_Prop_H2O2-HCl.ods (18.4 KB)

Calc_Prop_H2O2-HCl.xls (8.5 KB)

Bene, ora abbiamo il nostro stampato tra le mani, ma ancora non è pronto, infatti le piste appaiono nere o blu scuro, magari con qualche residuo di carta attaccato (secondo la tecnica usata per proteggere il rame delle piste stesse) e i nostri bei tondini (o piazzole) hanno un bel punto interno senza rame, e va forato!
Questa fase spesso viene considerata semplice e l’approccio, specialmente le prime volte, non avviene con la necessaria concentrazione, almeno fino al primo danno….
Tanto per cominciare molti iniziano dalla pulitura, personalmente lo considero un errore: il nero del toner contrasta decisamente meglio rispetto al rame pulito, e questo aiuta in fase di foratura, visto che in genere si lavora con punte da 0.8 mm a 1.2 mm di diametro.
Quindi conviene semplicemente lavare la piastra, sempre con i guanti in lattice, in acqua abbondante (non usate il lavandino di casa, specialmente se avete lavorato col cloruro ferrico, rovinate le parti cromate); quindi asciugatela con della carta assorbente (tipo rotoloni). Ora siamo pronti per la foratura.
A questo punto diventa fondamentale l’attrezzatura: se volete fare un lavoro come si deve non potete fare a meno di un trapano a colonna; credo, per diretta esperienza, che il migliore in assoluto sia il “piccolo” Dreamel con il suo supporto a colonna (che costa più del Dreamel stesso!!), ha una precisione favolosa, il giusto peso (dopo un po’ di fori il braccio inizia a “innervosirsi”) e una velocità che permette di fare fori netti e precisi, inoltre non carica del suo peso le punte, al momento del contatto col PCB, mentre i trapani normali tendono a rompere più facilmente le punte.
E diamo il giusto spazio anche a questi importantissimi accessori: potete usare le comuni punte in ferro ma surriscaldano facilmente e si possono deformare, inoltre si spezzano frequentemente. Anche in questo caso più si spende e meglio si ha: le punte elicoidali in acciaio sono superlative, tutto l’opposto delle sorelle in ferro (anche il costo però…). Veniamo ai diametri: 0.8 mm va benissimo per la maggior parte dei componenti (zoccoli, resistenze, condensatori, led, piccoli transistor, diodi di segnale, connettori tipo strip), inoltre un eventuale errore di foratura è meno dannoso, in quanto si riesce a fare un nuovo foro abbastanza vicino; in diversi casi serve la punta da 1 mm, ovviamente componenti con i reofori più grossi (condensatori di capacità elevata, resistenze ad alto wattaggio, diodi raddrizzatori, transistor e mosfet di potenza più alta dei tipi piccoli in plastica, integrati regolatori); più raramente serve la punta da 1.2 mm (connettori di uscita, portafili, connettori per l’alimentazione). A volte si commette l’errore di pensare di poter sopperire ad una punta più grande usando il metodo di roteare il trapano per “allargare” il foro, la cosa non merita le parole di un commento, non c’è altra soluzione che acquistare 2-3 punte a tipo e non restare mai senza rifornimenti, capita la giornata storta e poi doversi fermare per una punta è quantomeno innervosente!!! I fori vanno fatti sempre dal lato rame, anche se disponete di un PCB serigrafato, non combacia mai perfettamente la serigrafia col foro, inoltre forare dal lato componenti significa creare delle fastidiose sbavature nel rame che andranno necessariamente eliminate.
Quando credete di aver finito la foratura mettete il Vostro PCB tra voi ed una bella lampada a luce calda e scoprirete che al minimo state mantenendo lo standard statistico di un foro dimenticato ogni 10-15 fatti; rimettete mano al trapano e ora avrete finito davvero la foratura.
Quindi potete completare l’operazione di pulitura: se le piste sono protette da toner o PnP (che a sua volta protegge il toner) una passata di acetone (quello che si usa per lavare lo smalto per le unghie) ed una nuova sciacquata e vedrete il lato rame in tutto il suo splendore; in qualche situazione particolarmente ostinata potete ricorrere all’acqua molto calda, all’alcool e perfino ad un’altra passata di “sidol”, addirittura potrebbe essere necessaria una passata con la spugna abrasiva per lisciare qualche asperità da foratura.

Prossimamente ……

Aggiornamento nella sezione dell'Incisione, con i ringraziamenti per il contributo di Dab77 :slight_smile: